Il faro
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Il faro

Il faro
Si narra che un tempo la luce, il fuoco sacro, fu donato agli uomini senza che questi si sforzassero troppo, fu un regalo, anzi il bottino di un furto messo a punto da Prometeo che rubò il fuoco all’Olimpo per darlo agli uomini.
Prometeo era il più intelligente tra tutti i titani, aveva assistito alla nascita di Minerva, dea della sapienza figlia di Giove, e la stessa dea gli aveva insegnato tutte le arti allora conosciute come: l’architettura, l'astronomia, la matematica, la medicina, l’arte di forgiare i metalli e l'arte della navigazione.
Prometeo che amava molto il genere umano condivise con gli uomini questa enorme conoscenza, fatta eccezione che per il fuoco, fino ad allora sconosciuto agli stessi.
Il fuoco era considerato, lo strumento potente di Giove dio geloso e vendicativo, il quale non vedeva di buon occhio questo amore di Promoteo per il genere umano, intuendo che con la conoscenza del fuoco lo stesso sarebbe diventato troppo forte e potente, quindi nascose alla vista del titano la fiamma, affinchè non lo potesse trovare e condividere con gli esseri umani.
Ma l’astuto titano, nascosto nell'officina di Vulcano dio del fuoco, il quale con l’aiuto dei ciclopi forgiava i fulmini per Giove, aspettò che lo stesso abbattesse il martello sull'incudine per rubarne una scintilla, da regalare al genere umano.
E così fu.
Questo regalo costò l’ira di Giove, ma ha portato l’umanità fuori da una condizione di pura animalità, conducendola, attraverso la scoperta del fuoco, al riconoscimento del proprio “io” intellettivo ed “umano”, inteso come “io” pensante, quindi capace di porsi problemi avendo gli strumenti, attraverso ragionamenti a volte anche complessi, per risolverli, o almeno incamminarsi, sulla strada della loro soluzione.
Il buio, rischiarato dalla luce del fuoco, stimola domande che chiedono risposte.
Il fuoco non si esaurisce anzi la fiamma si rigenera, certo lo si può intrappolare in parte in una torcia, in una lampada, o anche in un faro; tutte queste luci illuminano, ci guidano, a volte anche all’interno di noi stessi.
Ma la luce più affascinante è il faro, punto fermo dei naviganti, circondati da acqua che non segna confini; in balia delle correnti e del tempo che all’improvviso cambia.
Non ne sostiene solo la meta e il percorso, ma ne rinfranca anche lo spirito, l’umore, l’ottimismo: vedere un faro in mezzo ad una burrasca o intravederlo dopo giorni di navigazione rincuora e dà forza.
Sono ben due i fari che fanno parte delle 7 meraviglie del mondo antico: il Colosso di Rodi e il Faro di Alessandria. Il primo era un’enorme statua antropomorfa rappresentante Elios dio del sole, con un braciere acceso in una mano, e questa rappresentazione metaforica la si può ritrovare ancora oggi nella Statua della Liberta?, collocata all’ingresso del porto di New York nel 1886, e che per ordine del Congresso degli Stati Uniti, fu definita “Aid to navigation”, cioè un faro a tutti gli effetti, sia pure a luce fissa.
Ma il faro per eccellenza, annoverato nelle sette meraviglie è il Faro di Alessandria, la grande citta? egiziana sul Mediterraneo fondata da Alessandro Magno nel 332 a.C.
Questo monumento fu costruito da Sostrato di Cnido intorno al 280 a.C. sull’isolotto di Pharos, promontorio di fronte ad Alessandria d’Egitto, ed è proprio dal nome di questo promontorio che deriva la parola Faro in seguito utilizzata in tutte le lingue di origine greca e latina per definire una struttura che illumina il mare ed aiuta i naviganti.
Il faro di Alessandria era imponente, ricoperto di marmo bianco, alto 120 metri diviso in tre tronchi, su cui troneggiava una lanterna cilindrica sormontata da una statua di Giove. Si dice che la sua luce fosse visibile per più di 30 miglia, grazie anche ad un gioco di specchi progettati da Archimede, crollato dopo diversi terremoti lo troviamo spesso rappresentato su stampe, libri e dipinti o allegoricamente riprodotto in diversi luoghi, (es. atrio Empire State Building), quasi ad omaggiare la prima grande luce conosciuta dall’umanità.